L'Arconte e il Demone

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Vi era, a Meridia, un anziano Arconte di nome Daniele; questi era un abile alchimista che grazie alla propria saggezza e alla propria determinazione era riuscito a diventare uno degli uomini più ricchi della sua città. Viveva una vita felice ma iniziò ad essere ossessionato dalla morte: aveva creato dei filtri alchemici che ritardassero l’invecchiamento ma questi non bastavano a sconfiggere l’età che avanza. Spaventato dall’idea di perdere tutto ciò che aveva conquistato cercò in ogni luogo la risposta al suo problema: si rivolse ai Maestri della Loggia, ai signori del Liceo, si affidò alla saggezza degli uomini del deserto ma non trovò nulla che potesse aiutarlo.

Una sera venne invitato ad una festa organizzata da un suo amico, Uriele dei Crisostomi. Daniele lo trovò come ringiovanito ed iniziò ad interrogarlo: poco dopo riuscì a vincerne la reticenza con lusinghe, promesse e minacce; gli venne svelato che in città vi era un giocatore s’azzardo di nome Elazar che, se battuto, esaudiva un desiderio del vincitore.
Senza aspettare la fine della festa Daniele si recò alla locanda dettagli dall’amico e li vi trovò un uomo benvestito intento a giocare a Lisandria contro un mendicante; dopo poche mani il primo si dichiarò sconfitto e disse al mendicante che il suo desiderio era stato esaudito: questi mise una mano nella scarsella ed estrasse uno scudo e poi un secondo ed un terzo ancora! Il pezzente uscì di corsa dalla locanda e Daniele iniziò a parlare con il giocatore:
“Sei tu Elazar?”
“Questo è il mio nome”
“Mi dicono che sei in grado di esaudire i desideri della gente”
“Non è così: io posso però fare scommesse con quasi ogni posta; però gioco una sola partita a giorno, ma se volete, Arconte, io domani sera busserò alla vostra porta e giocheremo”
Si accordarono così per il giorno successivo.

L’Arconte attese con impazienza di giocare e quando la sera successiva un suo domestico lo disturbò dicendo che c’era uno straniero alla porta egli scese di persona, salutò l’ospite e lo condusse in una sala adibita al gioco e cacciò la servitù. Elazar propose questa scommessa: se Daniele avesse vinto cinque mani a Lisandria sarebbe ringiovanito di dieci anni ma se invece avesse perso avrebbe dimenticato ogni cosa relativa all’alchimia.
“Sono un uomo determinato, un uomo che mai ha perso: non temo questa scommessa” Disse l’Arconte, certo che nulla al mondo potesse fargli dimenticare la sua arte.
Iniziarono a giocare ed il Merida vinse le prime quattro mani e rise, certo del suo trionfo; invece Elazar vinse le successive cinque partite.
“Abbiamo giocato e tu hai perso: da domani scorderai tutto ciò che sai sull’alchimia. Tornerò domani sera nel caso tu voglia fare una nuova scommessa”

Daniele se ne andò a dormire, certo che quelle di Elazar fossero solo vuote parole. Il giorno successivo si diresse al suo laboratorio alchemico per completare alcuni filtri che gli erano stati commissionati ma scoprì con orrore di non ricordare i reagenti necessari per i vari composti ne il loro ordine; prese un compendio ma anche con quello non riuscì nemmeno a realizzare un preparato di base. Atterrito attese la sera e non appena venne avvertito dell’arrivo di Elazar si precipitò a condurlo nella sala da gioco:
“Come hai fatto a farmi scordare la mia arte? La rivoglio, mi appartiene”
“Ma ti resta ancora molto Arconte: sei pronto a rischiare quello che hai per riprenderti ciò che non è più tuo?”
“Non temo di scommettere. Non sono mai stato sconfitto e riuscirò a prevalere anche su di te”
“Come voi volete Arconte, anche se ritengo che la vostra autocelebrata capacità di vincere derivi solo dal vostro rango: gioisci, ti sto per dare la possibilità di dimostrarti che mi sbaglio; faremo una nuova scommessa: se vinci riavrai la tua arte e gli anni che ti ho promesso ma se sarai sconfitto da domani non sarai più un Arconte, ma un plebeo”
Daniele si disse che per quanto fosse potente quest uomo di certo non sarebbe riuscito a cambiare la memoria di tutta la città, quindi accettò.
Elazar vinse la prima mano, Daniele la seconda e continuarono a vincere una mano per uno fino alla nona, che l’Arconte perse.
“Abbiamo giocato e tu hai perso: da domani nessuno ricorderà che tu sei un Arconte. Tornerò domani sera nel caso tu voglia fare una nuova scommessa.”

Daniele si ritirò nelle sue stanze, dubbioso sulla possibilità che il giocatore potesse togliergli il suo titolo con una simile facilità.
Il giorno successivo, come ogni primo giorno di ogni mese, si recò al palazzo di giustizia dove gli Arconti si radunavano per discutere di questioni di giustizia. Giunto al palazzo le guardie gli sbarrarono il passo e lo cacciarono, dicendogli che sebbene era un uomo ricco ed influente solo i nobili potevano accedere.

Daniele ritornò di corsa alla sua casa ed attese per tutto il giorno sulla porta l’arrivo dello stregone. Passarono ore e quando Elazar finalmente giunse Daniele lo portò di corsa in casa.
“Rivoglio ciò che mi hai sottratto”
“Posso proporti un’altra scommessa: da un lato ciò che era tuo ed ora non hai più, dall’altro le tue ricchezze; se perderai non ti resterà nulla”
“Come ho detto non temo te, ne i tuoi poteri. Io vinco sempre”
Ma la sorte favorì Elazar che per cinque volte dichiarò “Lisandria” e per cinque volte mostro i dadi nel suo boccale rivelando un due ed un uno.
“Abbiamo giocato e tu hai perso: da domani sarai povero. Ti ho già tolto abbastanza, quindi non verrò più a cercarti.”

Daniele si ritirò nelle sue stanze, timoroso del domani: si addormentò circondato dalle sete e dagli ori e si risvegliò vestito di soli stracci sdraiato sulla terra battuta di una via della città. Disperato corse verso la sua casa, dove venne scacciato dalle guardie. Nei giorni seguenti si guadagnò da vivere come poteva, talvolta rubando, talvolta lavorando come scriba ed iniziò ad indagare su Elazar. Un giorno, mentre copiava dei testi per il Liceo, trovò una leggenda che narrava di un demone in grado di assumere sembianze umane e di rovinare la vita a coloro che avevano il coraggio di scommettere con lui; pareva che il demone avesse tanta fortuna quanto erano egoisti i desideri del suo sfidante.

Daniele non poteva sopportare di essere stato battuto da Elazar e decise che lo avrebbe battuto in un modo o nell’altro. Lo trovò nella locanda dove era iniziato tutto, intento a bere.
“Un’ultima partita Elazar”
“Cosa puoi offrirmi ora Daniele? Sei vecchio, povero, non hai niente che ti renda interessante. Puoi solo arrancare per i prossimi anni piccolo ed inutile”
“Posso scommettere l’unica cosa che è ancora mia, posso scommettere la mia vita”
Elazar guardò stupito Daniele e disse: “Non siete mai contenti voi? Non sapete mai quando fermarvi vero? Ma se proprio vuoi morire, vecchio, giocheremo quest ultima partita.”

Giocarono cinque mani, e Daniele le vinse tutte. Stupito Elazar chiese all’altro di scegliere la ricompensa
“Non voglio nulla per me: se l’avessi voluto non avrei potuto sconfiggerti. Uriele desiderava vivere per poter stare vicino alla moglie malata, mentre al mendicante di quella sera servivano i soldi per sanare un debito del fratello. Chiedo questo: chiedo che tu te ne vada da queste terre senza mai tornare e chiedo che tu restituisca ciò che hai ottenuto a tutti gli altri uomini che han perso contro di te. Io non desidero niente per me, io ho già ciò che volevo: la consapevolezza di aver vinto.”

Fu così che il demone lasciò le Terre Spezzate e non ne fece mai ritorno.

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Gufotetro del Clan del Gufo